Carnevale montemilonese 2023

Ritorna il carnevale…ritorna l’allegria!
Con questa premessa, dopo lo stop dovuto alla pandemia di covid-19 la Pro Loco Montemilone “Pino Sassi e il Comune hanno riportato il carnevale per le strade del paese!
Domenica 19 febbraio, partendo da Via Casere Battisti per tutto il paese si è tenuta la sfilata in maschera. Non sono mancate piccole soste dove ci si è divertiti con i balli di gruppo in compagnia del Domino di Lavello.
Martedì 21, presso la sede della Pro Loco, l’animazione di Magicabula ha coinvolto i bambini nel gioco della “pignata”, spettacolo di bolle di sapone e altri fantastici giochi.
Un ringraziamento per la collaborazione va a:
– l’Associazione Oratorio Giovani,
Attivamente
– Progetto Uno e 7.
Un ringraziamento speciale ai nostri ospiti della Pro Loco Lavello “Fiorindo Ricciuti” per aver partecipato alla sfilata, insieme alle maschere del Domino.
Un grazie al gruppo V.A.B per aver permesso di organizzare gli eventi in sicurezza.

IL CARNEVALE MONTEMILONESE: storia e tradizioni

Lo sapete come festeggiavano il Carnevale i nostri nonni, o meglio ancora i nostri bisnonni?
Forse no, o non tutti. E allora mettetevi comodi che oggi ve lo raccontiamo noi.
[…]A Montemilone i nostri nonni amavano festeggiare il Carnevale e, durante tutto il periodo, organizzavano i cosiddetti “Fëstënë dë Carnëvalë”; festini durante i quali intere famiglie si riunivano per ballare, giocare e mangiare tutti assieme e in allegria.
I grammofoni trasmettevano la musica di allora e gli ospiti ballavano: di solito in coppia tra parenti o amici, ma se i papà non erano troppo gelosi, a volte capitava di vedere in pista anche qualche fidanzatino. A fine serata, ci si sedeva a tavola.
Cosa mangiavano? Salsiccia o lardo, a quei tempi durante questo periodo abbondavano nelle case perché era da poco stato ucciso il maiale, e poi c’erano anche ceci arrostiti sul tufo, patate cotte sotto la cenere, taralli preparati in casa e alcune volte anche del buon caciocavallo locale o il piatto tipico del carnavale la laganëdd (tagliatelle fresche fatte in casa) col sugo di salsiccia. Tutto rigorosamente accompagnato da del vino novello.
E come si travestivano durante questi festini i nostri nonni? Dipende. Chi poteva permetterselo, acquistava delle maschere di carta, gli altri rimediavano presso parenti e amici indumenti o oggetti per mettere in atto quel capovolgimento della realtà che solo a Carnevale è possibile. Ed ecco così che l’uomo diventava donna, il contadino dottore e il dottore allevatore. L’ allegria era assicurata. E poi c’erano i giochi. I giochi dei festini erano un vero spasso; cose semplici che però divertivano tutti.
“U sciuchë du marënaië” (il gioco del marinaio), “u sciuchë dë la fèmëna préna e cangia mëgliérë”, (il gioco della donna incinta e del cambio moglie) e “u sciuchë du mutìddë” (il gioco dell’imbuto) che, ad esempio, veniva fatto tenendo un oggetto sul capo chino all’indietro e un imbuto allacciato alla cinta dei pantaloni. Lo scopo era reggere il più tempo possibile l’oggetto in equilibrio sul capo, ma era una vera impresa. E sì, perché i burloni presenti alla festa si divertivano a versare nell’imbuto dell’acqua o del vino e lo sfortunato giocatore, mentre si bagnava tutto, muovendosi, faceva anche cadere l’oggetto. Immaginatevi le risate!
I festini duravano per tutto il periodo del Carnevale fino al giorno della Pentolaccia, giorno in cui c’era il tradizionale gioco “dë la pëgnatë” (gioco della “pignata”), un tipico recipiente di terracotta che veniva utilizzato per la cottura dei legumi. Solitamente se ne riempivano due: una di cenere e l’altra con ciò che c’era a disposizione: fichi secchi, mandarini, salsiccia o qualche pezzo di formaggio. Si bendava il giocatore che, con un bastone di legno, battendo a terra, cercava la “pignata” e se gli fosse andato bene, si sarebbe portato a casa tutte le leccornie che conteneva ma, se malauguratamente avesse beccato il coccio pieno di cenere, avrebbe combinato un disastro ai padroni di casa. Un divertimento, comunque, perché lo stare insieme e il giocare senza limiti di quei giorni, non aveva prezzo.
Nell’ultimo giorno del Carnevale, inoltre, per strada era facile udire lamenti, grida e pianti, s’inscenava “U funëral” (il funerale) e la gente sfilava per le vie del paese piangendo il Carnevale che usciva così tragicamente di scena e dava spazio all’inizio della Quaresima.
Al corteo partecipavano anche gli spazzini che, a titolo gratuito, tenevano pulite le strade e, in quell’occasione, venivano ripagati dai Montemilonesi per il servizio offerto. Come? Giravano con delle “cariole” contenenti il fantoccio, ovvero il Carnevale, che poi veniva bruciato e con esso “U varëlott”, una botticella che la gente riempiva loro di vino per sdebitarsi.
E non era l’unica cosa che gli spazzini riuscivano a portarsi a casa: la “cariola” fino a sera si riempiva di tante prelibatezze che consumavano poi tutti assieme. E con questo ultimo atto, i paesani salutavano il Carnevale e si cominciava a fare il conto alla rovescia per quello successivo.

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